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don chisciotte

La parola avvilita

7 novembre 2016

Nel numero in cui dedichiamo un dossier a uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale, il Don Chisciotte tra follia e ideale, e al suo autore Miguel Cervantes, vogliamo anche proseguire e forse terminare la serie di editoriali dedicati prevalentemente alla parola, a questo accendino del cervello che suscita fantasie e sentimenti, fa conoscere la realtà e svela il passato e il futuro, ma può anche essere strumentalizzata per ingannare oppure (massimo degli ossimori) per non dire.

Parole fuggitive

Parliamo soprattutto della parola scritta, Avete fatto caso come, in quasi tutte le trasmissioni televisive, ogni tipo di testo sia mostrato così rapidamente da non riuscire a leggerlo? Un bando, un avviso, un titolo di giornale, una statistica articolata in più punti o la classifica di un campionato non si riescono a leggere in tempo. Sembra che la scrittura sia qualcosa da mostrare per giustificare la notizia, non da leggere trattenendola un poco di più sullo schermo. Un accessorio, un pretesto.
Con le parole, sfuggono spesso le notizie. Mattina e sera, nelle tv statali e private abbondano gli aggiornamenti sui femminicidi, su altri reati gravi e sui relativi processi (“la tv del dolore”), fino alla nausea, ma certe tragedie, come ad esempio la situazione nell’Ucraina Orientale o le persecuzioni anticristiani, sembrano dimenticate o sottaciute.
È pur vero che, nei giornali e nei nuovi media, l’ultima notizia scaccia le precedenti o comunque le spinge indietro, ma certi argomenti dovrebbero trovare il loro spazio comunque. Tra referendum, delitti, ondate immigratorie e tanto gossip mondano e sportivo, si è dimenticato un centenario che pure fu richiamato con impegno: quello della Prima Grande Guerra. È cento anni fa, 1916, che divampavano le battaglie più sanguinose: Verdun (442000 morti francesi e 278.000 tedeschi, più milioni di feriti), la Somme (un milione di uomini tra morti e feriti), il Carso (cinque assalti al prezzo di oltre 100.000 morti e mezzo milione di feriti italiani e altrettanti austriaci).
È proprio vero che la Storia è una maestra di vita che non ha mai insegnato niente a nessuno, ma è doveroso ricordare che, esattamente cento anni fa, la gioventù europea moriva in impossibili attacchi frontali contro sistemi trincerati, sempre bloccati dal filo spinato e dalle mitragliatrici. I generali, che forse non sapevano leggere la Storia, accusavano queste due “novità” per i loro insuccessi. Ma il sistema delle trincee era stato collaudato mezzo secolo prima nella Guerra Civile Americana, dove avevano dato prova le mitragliatrici Gatling a canna rotante, e queste armi, in continuo perfezionamento (ad es., le Maxim) avevano determinato la vittoria dei giapponesi sui russi a Mukden (1905). Il filo spinato, inventato dallo statunitense Joseph Gidden nel 1874, era stato protagonista nei contrasti fra allevatori e contadini nelle pianure nordamericane, e in guerra nella difesa russa di Port Arthur.
La “inutile strage” fu iniziata e continuata da politici incapaci di leggere la realtà e da generali che pensavano ancora alle battaglie dell’Ottocento con le truppe schierate. E soprattutto dominava la noncuranza per le sorti degli umili, per i soldati “carne da cannone”: Mancò la sacralità della vita umana. Come manca nei “femminicidi” quasi quotidiani di oggi.

Parole spurie

Cento anni fa, la lingua italiana doveva liberarsi dei molti francesismi e, grazie anche al poeta Gabriele D’Annunzio, trovammo le parole autista, velivolo e radiatore, e da Enrico Fermi imparammo neutrino, e poi bistecca, maglione ecc. Come abbiamo già fatto rilevare, oggi siamo, in misura assai maggiore, invasi da inglesismi che a volte sono necessari (sarebbe ridicolo chiamare topo” il mouse del computer, benché in Francia lo chiamino rat) ma troppo spesso dipendono da mode o pigrizie intellettuali: perché dire e scrivere sui programmi dei convegni coffee break invece di “pausa caffè”, perché standing ovation, pole position, time-out, politically correct, gossip e così via, quando esistono lemmi italiani corrispondenti?
La lingua è parte fondamentale dell’identità di un popolo e dovremmo imitare i nostri cugini d’Oltralpe che difendono il francese con ostinata energia.
Un po’ per l’origine americana dei nuovi media, un po’ per snobismo, subiamo l’invasione. È buffo però costatare che, essendo la lingua inglese formata per almeno il 50% da parole di radice latina, ci ritornano lemmi latini purissimi che noi… pronunciamo all’inglese, e che dovremmo invece usare secondo la loro origine. Qualche esempio? Summit, medium e media, monitor, tutor, advisor, plus.

Parole inutili?

Il ministero giapponese dell’educazione ha inviato alle università nazionali la richiesta che diano meno importanza o addirittura aboliscano i corsi e le facoltà “umanistiche e di scienze sociali” in considerazione del loro “scarso valore pratico”. Si tratta di Filosofia, Letteratura, Storia, Sociologia, Legge. Su 26 atenei interessati, ben 17 hanno iniziato la trasformazione. Fra quelli che non hanno aderito vi sono gli istituti di Tokio e di Kyoto. L’indicazione si spiega con il fatto che le impostazioni dell’istruzione superiore sono nelle mani e nei cervelli di una Commissione ove, accanto a nove ministri, siedono sette grandi dirigenti aziendali, un ingegnere e un economista.
Questo intento, destinato in sostanza a programmare a priori cervelli per la produzione, ha suscitato vivaci polemiche: contrari gli intellettuali, i mezzi di comunicazione e anche gli industriali più avveduti.
Citiamo l’episodio perché anche da noi si registra la crisi dei licei classici, la tentazione di ritenere “inutili” greco e latino, e qualcuno proponga l’insegnamento dei dialetti invece della lingua italiana. Allo stesso tempo, ci sembrano utilissimi tutti i contatti e le esperienze concrete tra le scuole di ogni tipo e il mondo del lavoro.

Parole sciatte

Le scuole medie inferiori si lamentano di ricevere dalle elementari alunni che compiono errori clamorosi di ortografia, le superiori si lamentano di trovare ancora molti casi di ignoranza ortografica e grammaticale, Occorre impegnarsi contro la tolleranza scolastica dell’ortografia errata, contro la minore importanza data alla buona forma letteraria, contro il diffondersi di usi sbagliati della lingua parlata e scritta (si veda il caso di “attimino”, “piuttosto che”, ecc.) e giù giù scendendo di scalino in scalino fino al fondo,+ per recuperare. Un linguaggio appropriato usato in famiglia è una base importantissima, forse essenziale: non si può chiedere alla scuola di fare prodigi se le lingue della casa e del gioco sono del tutto estranee.
Una volta nelle nostre scuole c’era addirittura un esame alla fine della seconda elementare, che consisteva in un dettato e in una piccola operazione aritmetica. Oggi abbiamo abolito anche gli esami di quinta, e questa abitudine generalizzata di togliere ogni ostacolo dal percorso dell’infanzia e dell’adolescenza (non solo a scuola) influisce su impegno o pigrizia, competenza o ignoranza, responsabilità o noncuranza. Intanto in Francia, il Ministero dell’Educazione Nazionale ha rimesso in uso la prova di dettato (in francese è più difficile che in italiano).

Parole confuse

È abbastanza diffusa, soprattutto nel lancio delle affrettate notizie in tv, la citazioni di percentuali, su questo o quel fenomeno di costume, che poi vengono rilanciate da tutti i media e diventano slogan, pur essendo già in partenza poco chiare. Prendiamo ad esempio la citatissima questione della disoccupazione giovanile, che, dai 15 anni in su, sarebbe ben oltre il 40 per cento. Notizia impressionante, ma incomprensibile nelle sue dimensioni se non si dice qual è il “cento”. A chi si riferisce la rovinosa percentuale? Al totale dei giovani italiani dell’età indicata? Ma se c’è l’obbligo scolastico fino ai 16 anni perché calcolarlo dai 15? I liceali e gli universitari vi sono compresi? O si riferisce a coloro che cercano un lavoro? E coloro che non lo cercano più? L’insieme comprende anche gli immigrati? Regolari o anche clandestini? L’ISTAT lo avrà certamente precisato, ma il giornalismo frettoloso e sensazionalistico trascura questi piccoli particolari!

Parole eccessive

Ogni eccesso, lo sappiamo, può avvenire in qualità o in quantità. E all’eccesso da un lato può corrispondere la carenza dall’altro.
Prendiamo l’esempio della punteggiatura. Parecchi ne ignorano le regole e anche gli insegnanti hanno varie insicurezze. Molti ragazzi la sistemano dopo aver scritto il proprio elaborato: metodo sbagliato perché, se è giusto verificarla nella rilettura finale, è durante la scrittura che si devono usare punti, virgole ecc., per dare un ritmo al testo. L’errore più comune è quello di collocare una virgola tra il soggetto e il verbo quando sono distanti (due virgole invece creano un inciso e sono corrette); lo stesso dicasi tra verbo transitivo e complemento oggetto quando questo galleggia un po’ più in là.
Inoltre, sotto l’influsso degli sms, ove i punti interrogativi o esclamativi servono a esprimere l’intensità delle emozioni, questi abbondano oltre il dovuto anche nella prosa dei ragazzi, mentre il loro uso dovrebbe essere parsimonioso.
Nel corso delle mie molte attività sono stato anche, per decenni, dirigente della Unione Italiana Stampa Educativa Ragazzi (UISPER) e ho continuato a ricevere e a leggere molti giornalini. In quelli che sono espressioni di Associazioni, ne trovo alcuni che usano in modo eccessivo i superlativi assoluti, impiegati forse per accrescere la benevolenza dei piccoli lettori ma tanto da risultare stucchevoli. Quando ogni editoriale inizia “Carissimi ragazzi” e nelle pagine successive altri articolisti usano la stessa espressione prima del loro dire, e ogni proposta è “bellissima”, “grandissima” e altri “issimi”, questo e altri eccessi di enfasi non sono producenti. Per carità di patria, non cito la fonte, ma trovo intollerabile una pagina che iniziava così: “Carissimi, oggi vi scrivo perché vorrei parlarvi di una cosa particolarmente interessante e importante”.
Quando questo linguaggio d’insipida captatio benevolentiae si sposta nel linguaggio politico (specie in vicinanza delle elezioni) o pubblicitario-commerciale (sempre), occorre vigilare sul nostro autocontrollo.
Parole eccessive, anche volgari, volano anche in troppe trasmissioni televisive fra politici, sportivi, opinionisti, e sono fiumi che si sovrappongono e si mischiano tra loro rendendosi reciprocamente incomprensibili, e dando agli ascoltatori, specie se giovani, pessimi esempi di uso del linguaggio per prevalere sugli altri ad ogni costo. Lezioni di maleducazione e di non rispetto dell’Altro.
Oggi l’eccesso più dannoso è quello che avviene nel campo delle informazioni: se nei regimi dittatoriali sono pericolose le notizie e le opinioni a senso unico, nei Paesi democratici è dannosa l’abbondanza di informazioni che, quando diventano frastuono, impediscono di discernere quelle importanti e favoriscono il gossip. Non è dunque vero che un Paese dove i media sono molti e vari sia per ciò stesso più democratico. In realtà, alla quantità di notizie diffuse occorrerebbe accompagnare l’educazione dei cittadini a capire e giudicare il rapporto fra i due elementi. Gli esercizi scolastici sui testi, sui contesti e sui messaggi dovrebbero formare queste capacità. Se, quindi, troppa informazione disorienta, l’uso acritico di internet porta spesso fuori strada.

Domenico Volpi

Didascalia alla foto: Il disegnatore novecentesco Lino Landolfi (vedasi anche l’ultimo saggio del dossier), nel mostrare quanto l’hidalgo vada a ingarbugliarsi nei mulini a vento, vuole forse indicare come l’intreccio delle parole possa avviluppare il lettore e quindi quanto sia indispensabile un’educazione alla lettura.

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