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Una Ninna Nanna per la depressione post partum

27 luglio 2017

Possono gli uomini comprendere in pieno quello che provano le donne quando mettono al mondo un figlio? L’interrogativo va oltre i problemi della gravidanza e del parto quando riguarda anche la depressione post partum che, a dar retta alle statistiche, colpisce una donna su nove. E il cinema può, in casi del genere, affrontare un tema così delicato e complesso senza rischiare di cadere nella spettacolarizzazione e/o nella superficialità? Domande che in Ninna Nanna hanno di certo dovuto tenere presenti sia Enzo Russo e Dario Germani, due registi alla loro prima fatica, che  Damiano Bruè e Sante Paolacci che li hanno affiancati nella stesura della sceneggiatura. Con quale risultato?
Un film è un film. Ovvero: una storia raccontata per immagini. La precisazione, per quanto ovvia, va sempre tenuta presente per mettere sull’avviso quanti si aspettano dal cinema trattati di medicina. E a questo sembra mirare anche una delle sequenze iniziali, dove alcuni personaggi che avranno parti più o meno rilevanti vengono presentati con le traballanti inquadrature di una cinepresa. L’espediente di filmare ed essere filmati non è nuovo, ma qui ha tutta l’aria di un avvertimento. Sembra dire che dalla storia che sta per iniziare lo spettatore può ricavare, a suo piacimento e secondo il personale modo di vedere le cose, distensione, evasione, notizie, insegnamenti e quant’altro.
Ninna Nanna narra le ansie e turbamenti di una bella, giovane e affermata enologa. Si chiama Anita (una brava Francesca Inaudi), è sposata con un sant’uomo Salvo, (interpretato da Fabrizio Ferracane), può fare affidamento sull’amica del cuore Stefania (Manuela Ventura) ed è circondata, in famiglia e nel posto di lavoro, da persone che la stimano e le vogliono bene. Facciamo la sua conoscenza quando sta per diventare mamma. Raggiunta da Salvo in riva al mare, brinda alla bambina che porta in seno. Nasce Gioia e la vita di Anita non è più la stessa. Un neonato fagocita tempo, attenzioni, energie, personalità. Anita, però, non ha intenzione di sparire dietro sua figlia e, per la prima volta e a parti invertite, rivive la frustrazione di un mancato rapporto con sua madre, eternamente in giro per il mondo. Notti di insonnia, nervosismo, improvvisi scatti d’ira. Per tutti, suocera e parrucchiere comprese, la piccola Gioia è una gioia; per Anita è un tormento. Peggio: un mostro che si è appropriato della sua esistenza e minaccia di annientarle la libertà e la femminilità. “Ma tu ce l’hai con me?” le chiede. È il preludio a gesti pericolosi, incomprensibili e deprecabili: le procura piccole ustioni, le riversa addosso la sua malattia, l’abbandona all’interno dell’auto, la lascia a casa dimenticando di avere imprudentemente lasciato aperto il gas. I paesani la criticano, zio Luigi (un eccezionale Nino Frassica) la schiaffeggia, la pediatra le consiglia di rivolgersi a uno psicologo, il marito la caccia via di casa. In una terra che con le sue rovine archeologiche e con i cantastorie rimanda al mito (e al complesso) di Edipo e alle tragedie greche il finale sarebbe intriso di sangue. Non sarà così. E non ci sarà nessun “deus ex machina” ad addolcire l’esodo, ma la “catarsi” di una donna travagliata che sperimenta il difficile compito di essere madre e, dopo aver vagato senza meta, approda sulla spiaggia della tranquillità senza dover ricorrere al sacrificio di capri espiatori. Prima dei titoli di coda, arriva la tanto attesa ninna nanna della nuova Anita. E sarà un sollievo per tutti.
Prova d’esordio superata? Per il coraggio di affrontare un tema delicato e attuale, per le convincenti interpretazioni degli attori (comparse incluse), per alcune intuizioni ed espedienti filmici, per la magnifica fotografia, per la bella colonna sonora di Francesco Silvestre dei Modà, per l’azzeccata scelta dei luoghi – Castelvetrano, Selinunte, Tre Fontane e Gibellina (una terra che è figlia di un parto, come dice Dario Germani. Gibellina nuova è figlia della Gibellina vecchia distrutta nel 1969 dal terremoto), senz’altro. Un po’ meno per i vuoti narrativi che non chiariscono passaggi decisivi della conversione di Anita, come gli incontri con lo psicologo e quello con la madre. Ma se non si può pretendere troppo dalla vita, a maggior ragione dobbiamo essere clementi con il cinema.

Ninna Nanna
Regia: Enzo Russo e Dario Germani
Con: Francesca Inaudi, Fabrizio Ferracane, Nino Frassica, Manuela Ventura, Guia Jelo, Salvatore Misticone, Maria Rosaria Omaggio
Italia, 2017
Durata: 112’

Italo Spada
(italospada@alice.it)

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