La figura paterna nella letteratura per ragazzi del nuovo millennio
Nel mio elaborato per la tesi di laurea, sono andata alla ricerca dei padri nella recente letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. Cercando di essere il più esaustiva possibile, ho tracciato il percorso di questa figura genitoriale, dai fondamenti trascendenti della Bibbia alle gesta eroiche dei miti classici, dall’autorità del padre padrone al lassismo dei padri borghesi, seguendo una parabola discendente, che ha toccato il punto più basso con le contestazioni Sessantottine, salvo poi tentare, per vie alquanto differenti, una riconquista della propria identità negli anni più recenti.
La letteratura per l’infanzia è stata uno specchio di tutte queste vicissitudini, riflettendone i risvolti non solo personali, ma anche sociali e pedagogici attraverso una traduzione mirata alle diverse fasce di pubblico cui si rivolge.
Il padre edulcorato nella produzione letteraria per la prima e seconda infanzia
Bisogna ammettere che sotto questo aspetto, gli albi per la prima infanzia sono quelli maggiormente investiti dal compito di veicolare la nuova figura di padre che va emergendo negli ultimi due decenni; non è difficile imbattersi in papà orsi che proteggono amorevolmente i loro cuccioli, come accade in Ci pensa il tuo papà di M. D’Allancè (Babalibri, Milano, 2006), cavallucci marini che covano le uova al posto della compagna in L’ippocampo, un papà speciale di E. Carle (Mondadori, Milano, 2005), ma basta anche scorrere anche altri titoli per rinvenire rappresentazioni decisamente positive della figura paterna. Mi riferisco a Papà isola e Le mani di papà, entrambi scritti da E. Jadoul ed editi da Babalibri tra il 2013 e il 2014, o ancora a Il papà che aveva dieci bambini di B. Guettier (Ape Junior, Milano, 2003), albi in cui ricorre un’immagine dolce, tenera e accudente del papà, vero porto sicuro cui approdare nei momenti di difficoltà.
Anche nella fascia d’età della seconda infanzia prevale un’ottimistica visione del padre; ne viene contagiato anche Neil Gaiman, che dopo aver tratteggiato una figura paterna assente ne Il giorno che scambiai mio padre con due pesci rossi (Mondadori, Milano, 2004), cerca di riscattarla scrivendo, dieci anni dopo, L’esilarante mistero del papà scomparso (Mondadori, Milano, 2014), quasi a volersi scusare con i lettori, come racconta lui stesso in seconda di copertina, e dimostrare che sì, anche i papà possono essere dei supereroi e salvare il mondo uscendo a comprare un cartone di latte!
Dello stesso avviso sono A. Vincenti quando pubblica per le ed. San Paolo nel 2007 Il mio super papà, e A. Lavatelli col suo Superpapà (Piemme, Casale Monferratok 2015). I titoli lasciano poco spazio all’immaginazione: i nuovi padri sono tratteggiati come veri supereroi anche nel compimento delle banali azioni quotidiane.
Si avverte insomma l’esigenza di trovare una collocazione a questo padre che cerca di riprendersi il proprio ruolo e di restituire valore alla sua genitorialità in un contesto sociale in continuo cambiamento. In famiglia la donna ha mutato il suo ruolo, non più solo «angelo del focolare», ma figura attiva, produttrice di reddito, emancipata; si vengono a ridefinire gli equilibri e gli spazi familiari, il padre si trova a ripensare se stesso in un ruolo già di per sé precario in quanto, a differenza del principio materno fondamentalmente istintuale, il suo è fattore culturale, che necessita di intenzione e consapevolezza, soggetto ad una sostanziale e costitutiva incertezza, che lo costringe a ridefinirsi continuamente.
Aiutato dalla letteratura psicologica, che finalmente si accorge dell’importanza della sua figura nel percorso evolutivo del bambino, il padre si rimette in discussione, abbandonando l’autoritarismo a favore dell’autorevolezza, affidando il suo rilancio alla presenza, all’accudimento e alla relazione affettiva, che tanta influenza possono avere sul percorso di crescita dei figli a livello sessuale, ma soprattutto normativo e di autonomizzazione.
In questo difficile percorso il padre può sbagliare, e cedendo troppo all’affettività rischia di divenire ciò che Novara ha definito «papà peluche»1 ovvero un papà morbido, preposto esclusivamente al gioco e all’accudimento, ma totalmente privo di autorevolezza.
Succede allora che nel rapporto con i figli i ruoli si invertano e siano questi ultimi a prendersi cura dei padri; la letteratura, pronta a cogliere ogni sfumatura della diade padre-figlio, presenta anche questa possibilità in libri come Quando si ruppe la lavatrice di U. Stark (Piemme, Casale Monferrato, 1995), autore svedese dalla pungente ironia, che mette in scena un padre molto affettuoso nei confronti del figlio, ma incapace di prendersi cura di lui: troppo amorevole. poco autorevole, non riesce a costruire un rapporto educativo efficace. Analogamente in Bel libro papà di C. Donner (Einaudi ragazzi, Trieste, 1994) dove viene rappresentato uno scrittore in crisi, che nulla fa per uscire dalla situazione di impasse in cui è capitato e rischia di mettere a repentaglio le sorti della famiglia accettando un lavoro che gli causa una gran depressione oltre ad un drastico taglio dello stipendio. Spetterà al figlio, in una logica di inversione dei ruoli, inventarsi la soluzione per far tornare il padre a scrivere ed uscire dalla crisi.
Padri 2.0 – omoaffettivita e omogenitorialita
Infine, nella produzione letteraria per la prima e seconda infanzia, trovano spazio per la prima volta le famiglie omo-genitoriali e omo-affettive, ormai divenute parte della realtà quotidiana con cui i bambini si possono confrontare, anche per evitare episodi di bullismo ed esclusione.
Capostipite del genere è Piccolo uovo di F. Pardi (Lo Stampatello, Torino, 2011). Opera di sensibilizzazione e di apertura, rivolta anche ai lettori più piccoli, grazie ai testi brevi e alle illustrazioni del bravissimo Altan, padre della Pimpa, questo libro centra l’obiettivo della casa editrice Lo Stampatello, creata dall’autrice con la sua compagna, di divulgare, senza drammatizzare, temi delicati quali l’omo-genitorialità e l’omo-affettività.
Della stessa autrice anche Qual è il segreto di papà (Lo Stampatello, Torino, 2011) racconto in cui si intrecciano due figure di padri: quello naturale che si scopre omosessuale, vince i propri timori nei confronti della famiglia e del contesto educativo scolastico riuscendo ad accettarsi e a farsi accettare, e quello del papà “bis”, che entra in punta di piedi in un nuovo nucleo familiare, conquista l’amore dei bimbi e contribuisce alla serenità della nuova famiglia allargata.
Nel filone dei papà “speciali” si inserisce Stella, babbo e papà di M.B. Schiffer (Gallucci, Roma 2016) di recentissima pubblicazione, che affronta il tema dell’omosessualità maschile. Nella classe di Stella si festeggia la festa della mamma, ma come fare se si hanno due papà? Dopo un primo momento di indecisione, Stella trova una soluzione originale e invita tutta la sua famiglia alla festa, babbo, papà, zio, zia e cugina e scopre di non essere l’unica in una condizione speciale, c’è chi viene con la nonna, perché la mamma è lontana e chi viene addirittura con due mamme. A Stella non importa di non avere una mamma da portare alla festa, babbo e papà sanno fare le veci di una mamma, l’aiutano nei compiti, le preparano il cestino del pranzo, le raccontano le fiabe la sera prima di addormentarsi, la fanno sentire davvero fortunata. Una storia delicata che affronta il tema dell’omoaffettività che si apre alla socialità con toni lievi, senza drammi pur nella consapevolezza delle difficoltà che ai bambini possono derivare da una situazione “speciale”. Babbo e papà sono figure assolutamente positive che hanno saputo costruire un legame solido, ben inserito nel contesto sociale e hanno trasmesso alla piccola Stella il valore dell’accettazione della diversità e del significato autentico di famiglia.
Personalmente ho molto apprezzato le opere della Pardi e della Schiffer in quanto ritengo sia giusto presentare anche ai più piccoli realtà differenti da quelle usuali, senza pregiudizi, filtrando parole e immagini affinché il messaggio di accettazione della diversità venga veicolato come valore positivo e arricchente l’esperienza individuale.
Ritengo che certe nuove declinazioni polinucleari delle famiglie attuali, siano realtà con cui sempre più spesso potrebbero interfacciarsi anche i più piccoli, rappresentandole come altro rispetto all’immagine tradizionale, ma scevre da ogni implicazione moralistica. Sarà poi cura dell’adulto, come ribadirò più avanti, fare da mediatore, aiutare il giovane lettore ad interpretare correttamente i testi, cercando, per quanto possibile, di sviluppare in lui un senso critico e un moto di coscienza civile, che tornerà utile durante tutta la sua esperienza di relazione. Naturalmente, siamo in presenza di materia molto delicata, che divide la stessa opinione pubblica, oltre che gli studiosi. I molti libri che trattano questo tema rivolgendosi a bambini molto piccoli si possono anche leggere, in altra ottica e prospettiva, come tentativi di precoce cattura del consenso a tesi che sono considerate di parte, rivolgendosi a soggetti sprovvisti di adeguati strumenti di difesa critica e quindi facilmente manipolabili e suggestionabili2.
Comunque, da quanto sopra esposto, pur in modo non esaustivo, si deduce come gli autori per la prima e seconda infanzia abbiano una dichiarata tendenza ad una rappresentazione positiva della figura paterna. Il messaggio veicolato dai loro racconti ed esplicitato dai bravissimi illustratori è quello di un papà positivo, presente, protettivo, figura di riferimento del figlio fin dai primi giorni, attento alle sue esigenze, ma anche capace di giocare e divertirsi, senza scordare le incombenze quotidiane cui si dedica con successo.
L’inversione di tendenza nei libri per l’adolescenza
Le cose cambiano quando ci si affaccia alla fascia della preadolescenza e all’adolescenza vera e propria.
Quasi a voler dare un taglio netto tra bambino e ragazzino, nei libri che si rivolgono ad un pubblico dai 12 ai 17 anni si perdono le tracce dei padri amorevoli, giocosi e accuditivi ed entrano in scena figure dai tratti decisamente più negativi.
La stessa rappresentazione della famiglia muta, non più luogo di felicità e protezione, ma focolaio di cattiveria e tristezza, con figure genitoriali per lo più assenti, egoisticamente ripiegate su se stesse, figli allevati nel lassismo normativo o, peggio, educati con la violenza.
Come ben evidenziato da Bertoncini: “ l’odierna letteratura, allorché si rivolge all’età preadolescenziale, tende a presentare un’immagine sempre più negativa di famiglia eterosessuale: famiglie disunite, disgregate, non luogo di intensità di affetti, ma di sofferenza, di disagio, di lacerazioni, di incomprensioni, talora di violenze sui figli»3.
Tali rappresentazioni, per quanto specchio di parte della nostra società, possono però suscitare nei lettori ancora in formazione, che potrebbero già trovarsi coinvolti in vicende simili, sentimenti di angoscia, nonché di estrema solitudine, in mancanza di figure adulte di riferimento di cui ancora hanno necessità per una crescita serena.
Una presente autorevolezza paterna infatti è importante; la letteratura sociologica e criminologica concorda nel sottolineare che nelle famiglie divise o monoparentali l’incidenza di comportamenti antisociali degli adolescenti, dallo sviluppo di nevrosi sino a vere e proprie devianze, è correlata alla mancanza della figura paterna. Inoltre si è visto che l’assenza e la negatività della stessa risultano essere più lesive in un adolescente maschio dal momento in cui questo si trova privato di un modello di riferimento e contenimento normativo, che tanto possono fare per il suo benessere psichico e affettivo.
Nel suo articolo Fiaba e ruoli sessuali Nobile, già nel 1998, metteva in guardia dal fatto che certe rappresentazioni di padri assenti, passivi e privi di autorità, potessero operare come elemento disturbante nel processo di formazione della personalità, impedendo l’interiorizzazione delle norme morali, la conquista dei principi di comportamento e la formazione di un solido Ego4.
È del 2009 Il libro di tutte le cose di Guus Kuijer (Salani Editore), che ha ottenuto il Golden Pencil e il Golden Owl, i più importanti premi olandesi per la letteratura per l’infanzia. Narra la storia di Thomas, un ragazzino che vede cose che nessun altro vede, ma che ha anche un padre violento e severo, che crede in un Dio altrettanto rigido. Thomas, nonostante le botte, coltiva il sogno di «diventare felice» e, come gli suggerisce una vicina di casa un po’ strega, il primo passo è smettere di avere paura. La conclusione sembra aprire a una speranza di cambiamento grazie alla presa di posizione della sorella del protagonista e all’intervento di una zia decisamente fuori dagli schemi, che cercheranno di rimettere il padre al proprio posto, sottraendo la famiglia alla sua violenza.
Un libro che, nonostante la negatività della figura paterna, non risulta mai troppo angosciante nella lettura e che lancia un messaggio possibilista sul cambiamento di situazioni critiche cui sono soggetti alcuni minori nelle loro famiglie
Dello stesso autore è da segnalare Mio padre è un PPP (Feltrinelli, Milano, 2013), che ci presenta Polloke, 11 anni e genitori separati, che adora il padre, tossicodipendente, e continua a credere in lui nonostante tutto, tanto da accettare di entrare in un centro di recupero con lui pur di aiutarlo.
Susan Kreller è l’autrice di Un elefante nella stanza pubblicato in Italia da Il Castoro nel 2012, in cui viene presentato ancora un padre violento. La vicenda narra di Masha, tredici anni, che deve trascorrere l’ennesima estate dai nonni, in una cittadina di provincia sonnolenta e noiosa. Un giorno incontra Max e Julia, fratello e sorella, più piccoli di lei, e intuisce fin da subito che c’è qualcosa di speciale in loro; quando si accorge per caso dei brutti lividi sulla pancia di Julia, un terribile sospetto sorge nella sua mente, sospetto che si tramuta in realtà quando, andando a cercare i due fratelli a casa, sente delle urla e assiste dalla finestra del giardino ad una scena inequivocabile. Cerca di raccontare quanto ha visto, ma gli adulti fanno finta di non capire o minimizzano; Masha non ci sta e decide di aiutare i due bambini, ad ogni costo, contro ogni pregiudizio.
Alla fine, grazie all’aiuto del nonno, unico a squarciare il velo di omertà che sembra ammantare il piccolo paesino, il padre viene denunciato e per i bimbi e la mamma sembra aprirsi una nuova vita.
La vicenda, narrata in prima persona dalla protagonista, scivola via veloce, il lettore si trova naturalmente a combattere al fianco di Masha per la salvezza dei due fratellini e la vittoria della verità contro chi nega anche l’evidenza, da cui il titolo del libro5.
Sempre un padre violento è causa dei mali di Tiziano, protagonista di Stupido di A. Cotti (El, Trieste, 2001). È la storia di un adolescente cresciuto in un quartiere degradato, che va a poco a scuola, ogni tanto commette qualche piccolo furto, spesso va in palestra, cerca risse e si calma un po’ solo quando è con Stella. Ma non basta, perché la rabbia di Tiziano è troppo grande da gestire anche per un duro come lui, rabbia che nasce ogni volta che il padre, alcolizzato, torna a casa senza più un soldo e picchia la moglie per poi scomparire per giorni. E poi c’è Lucia, la sorellina più piccola, testimone delle violenze, chiusa in se stessa, che il fratello vorrebbe proteggere, ma non riesce neppure ad abbracciare. Ad un certo punto Tiziano viene arrestato e portato in galera, ma la storia non finisce qui, perché lui non è cattivo, è solo arrabbiato, ma per fortuna non è solo.
Il libro fa parte della collana Frontiere che propone storie incisive, dirette, per far entrare gli adolescenti nell’età adulta senza troppi complimenti. Libro scritto con linguaggio abbastanza crudo, forse troppo, che apre ad una possibilità, ma che risulta un po’ pesante in alcuni passaggi.
Nella la stessa collana si trova Marta nelle onde (El, Trieste, 2000) in cui Barbara Garlaschelli affronta, in maniera più propositiva, il tema della violenza domestica. Due sorelle e la madre, schiacciate dalla violenza di un padre padrone, che annichilisce ogni tentativo di relazione, decidono che la salvezza è ancora possibile scappando lontano, dove il male non possa raggiungerle; le tre donne sono consapevoli della difficoltà della loro decisione, assalite da mille dubbi sul futuro e su ciò che potrà loro accadere, ma sanno che solo attraverso il coraggio della loro scelta potranno sperare, se non in un lieto fine, almeno in un nuovo inizio.
Titolo più inquietante quello scelto da A. Kennen per trattare le difficoltà di un ragazzo, Stephen, alle prese con un padre alcolizzato e barbone, un fratello morto per droga e un altro in affido come lui: Bestia (Il Castoro, Milano 2007). Questa è un cucciolo di coccodrillo regalatogli dal padre quando era piccolo come un barbone; cucciolo che ora è cresciuto paurosamente e va nutrito di carne, rubata o comprata. L’animale è diventato pericoloso e Stephen teme di doverlo sopprimere prima o poi. Ma “bestia” è anche la rabbia del protagonista, come un barbone cresciuto in una famiglia sbandata, passato da un affido all’altro, giudicato difficile dal contesto sociale in cui vive, vittima di pregiudizi che fanno di lui il capro espiatorio ideale in caso di guai.
Il padre, figura molto negativa nel quadro della storia, ci viene descritto dal figlio: barba lunga, mani “luride e unghie nere e rotte […], puzza di fumo, di pipì, di non lavato”. Non c’è riscatto per lui alla fine della storia e Stephen lo sa, non spera nulla se non di non diventare un giorno come lui.
Brevi riflessioni critiche
A conclusione di quanto sopra esposto, sembra corretto poter dire, e in questo si è supportati dai dati offerti dalla ricerca condotta da Chiara Brambati6, che la letteratura destinata ai lettori ascritti in una fascia d’età che va dalla pubertà all’adolescenza tende alla rappresentazione di figure paterne per lo più negative, siano essi padri violenti, assenti, inaffidabili o distratti. Viene rappresentata una realtà quotidiana cupa, grigia, in cui i ragazzi si muovono da soli senza avere al loro fianco figure genitoriali positive da un punto di vista pedagogico e formativo.
Una fotografia in bianco e nero, insomma, senza sfumature, di famiglie lacerate, senza dialogo, costituite da entità chiuse su loro stesse, incapaci di relazione educativa. Ma raccontato così, il male di vivere non evoca una liberazione o un progresso, è solo la presa d’atto di una rinuncia.
È fuori dubbio che la famiglia tradizionale abbia una forte crisi in situazioni nuove e che ripresentarla in maniera pedante e scolastica risulterebbe anacronistico, ma la letteratura per adolescenti dovrebbe essere capace di calare i valori che da sempre contraddistinguono la famiglia nucleare convenzionale, nelle nuove realtà “polinucleari” in uno scambio che possa aprire nuovi scenari educativi al mondo moderno.
Non solo un atteggiamento di svalutazione verso ciò che non è più quindi, ma apertura propositiva per ciò che di buono si può conservare della Famiglia con la F maiuscola, abilmente contestualizzato nelle realtà che i ragazzi si trovano a vivere qui e ora. D’altro canto, queste nuove realtà sociali dovrebbero essere rappresentate da chi scrive per il pubblico adolescente con un occhio meno cinico e più attento al risvolto emotivo che certa narrazione può su soggetti ancora in crescita.
Non si deve dimenticare che ciò che si legge non è irrilevante, tanto più se a sfogliare le pagine di un libro è un adolescente; ogni testo lascia una traccia nel giovane lettore e può incidere, in concorso con la sua esperienza di vita, su comportamenti, ideali e atteggiamenti7. Se poi il lettore in questione è suo malgrado protagonista di una realtà familiare e sociale disagiata, storie che presentino atmosfere familiari cupe e oppressive non possono in alcun modo aiutarlo; viceversa servirebbero racconti che possano infondere ottimismo e fiducia, che lascino aperta una porta alla speranza e alla possibilità di cambiamento.
Non si tratta dunque di proporre letture moralistiche, ben venga la trattazione di temi d’attualità, ma tali vicende dovrebbero essere presentate come anomale ed eccezionali e non come generalizzate e usuali. La stessa immagine paterna, così duramente attaccata e svalutata, rischia di instillare nel giovane lettore un atteggiamento di sfiducia verso gli adulti di riferimento, presentati come figure svuotate da ogni valenza morale.
Sarebbe da augurarsi un duplice obiettivo: da un lato un impegno da parte delle case editrici a porre più attenzione al lettore, decidendo le pubblicazioni non solo sulla base delle logiche di mercato, ma
sulla qualità dei racconti, dall’altro una maggior responsabilizzazione degli adulti-educatori, genitori ed insegnanti in primis, che gravitano intorno a questi adolescenti, nel sottoporre le giuste letture ai giovani e nel proporsi come “filtri” rispetto all’orientamento letterario, declinandolo di volta in volta all’individuo e al suo particolare momento di crescita.
Vercellesi
Note
1 D. Novara, Il ruolo del paterno: la sfida del nostro tempo, sul sito www.cppp.it, ultima consultazione 04-11-2016.
2 Avanza problematicamente anche questa possibilità interpretativa A. Nobile in La rappresentazione della famiglia nella recente letteratura per ragazzi, in AA.VV., La famiglia e l’educazione: nuovi scenari storici e pedagogici, La Scuola, Brescia, 2016, p. 141.
3 L. Bertoncini, L., La rappresentazione della famiglia nella recente narrativa per ragazzi, in «Pagine giovani», n. 3, luglio-settembre 2016, pp. IV-XIII.
4 A. Nobile, Fiaba e ruoli sessuali, in “Vita dell’infanzia” n. 10, dicembre 1998, p.54.
5 The elephant in the room (frase idiomatica inglese): un problema grosso che tutti riconoscono, ma che volutamente ignorano per paura o convenienza.
6 C. Brambati, Lineamenti della famiglia odierna in cento titoli: da “nido” a “collage polimorfo”, in “Pagine Giovani”, n. 3, luglio-settembre 2016, pp. XIV-XXVII.
7 Cfr. A. Nobile, Lettura e formazione umana, La Scuola, Brescia, 2004, pp. 44-51.
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