ROTONDO FERNANDO Ho visto cose in biblioteca che voi umani non potreste nemmeno immaginare
Il saggio, che nel titolo rievoca il celebre e nostalgico monologo dell’androide Roy Batty nel lm Blade Runner, diretto da Rid- ley Scott e basato sul romanzo fantascientifico-distopico di P. K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (o Il cacciatore di androidi), è un’appassionata e circostanziata dimostrazione di quanto sia necessario evitare gli eccessi veteroumanistici e, d’altro canto, anche i facili entusiasmi sulla rivoluzione digitale, e puntare di nuovo sulle biblioteche, per evitare che, come afferma l’autore in analogia con quello che diceva l’androide del film, i libri vadano «perduti nel tempo, come pagine di carta nella pioggia».
L’agile saggio, ricco nella parte iniziale di riferimenti autobiografici di sapore faetiano, è diviso in due parti, Déja vu e Ad ventura, che si compongono di dieci capitoli, in cui undici case-study permettono al lettore di afferrare prima allusivamente e poi concretamente la materia che l’autore tratta tramite numerosi spunti, citazioni, allusioni, esempi che aprono a percorsi forieri di ulteriori sviluppi e di interessanti approfondimenti. Questo modo di procedere, per passeggiate lungo i tortuosi sentieri dei “boschi narrativi”, se non disorienta, ha il merito di produrre in chi legge un effetto di «serendipità», effetto che l’autore stesso definisce come proprio della biblioteca, luogo dalle molteplici potenzialità.
Si susseguono le riflessioni su alcuni temi importanti, come la necessità di un’apertura sociale della biblioteca, grazie anche alla figura del “gatto di biblioteca”; la biblioteca come luogo in cui vige una «democrazia della conoscenza» e palestra di immaginazione creativa aperta al futuro; i libri come indizi, tracce che indicano la giusta via e che dialogano tra loro, producendo un «plusvalore intellettuale»; la crisi della lettura nella società odierna, nonostante le numerose iniziative di promozione, e il ruolo fondamentale dei bibliotecari affianco di insegnanti e genitori, nel guidare le scelte di lettura dei giovani, altrimenti in balìa degli algoritmi, definiti «nuovi guardiani dell’informazione».
La prospettiva dell’Autore nell’approccio alla disciplina e la sua approfondita conoscenza della produzione editoriale per l’età evolutiva appaiono dalle numerose citazioni di libri per l’infanzia e l’adolescenza, dall’attenzione a tematiche di vivo interesse sociale quali il contrasto a stereotipi e pregiudizi (sia che concernano la figura del bibliotecario o la teoria del gender), dall’analisi del sottofondo lindgreniano nella trilogia Millennium di Stieg Larrson e anche dalla capacità di interessare il lettore il quale, tramite il procedimento del cliff-hanger posto alla fine di ogni capitolo, è incentivato a voltare pagina e a proseguire nella lettura. A tratti si palesa la visione ideologica dell’Autore, che sostiene tesi che potrebbero non essere condivise da tutti gli attenti lettori. In primo luogo, definisce Pippi Calzelunghe come romanzo precursore della socialdemocrazia svedese, in grado di rompere schemi precostituiti, portatore di un messaggio di libertà, ma oggi gli studiosi si interrogano sul valore educativo di questo classico – prescindendo dal fascino che può ancora esercitare – alla luce della mutata condizione dell’infanzia (e dei relativi bisogni formativi) nell’odierna società. Né sfugge la definizione di «piccolo e morbido Indice», riguardante il provvedimento del sindaco di Venezia che nel 2015 bandì da asili nido e scuole dell’infanzia comunali 49 titoli di libri per bambini (tra cui E con Tango siamo in tre, Jean ha due mamme, Tante famiglie, tutte speciali), scelti in precedenza per il progetto “Leggere senza stereotipi”, ravvisando in essi un tentativo di precoce conformazione e di indottri- namento. Questioni e valutazioni che dividono l’opinione pubblica e gli stessi studiosi, e che sollecitano un approfondimento critico e un confronto aperto di posizioni culturali.
V. Indigenti