Il filo di Arianna di Ida Viviani
Come di consueto da parecchi anni la mia visita al 31° salone del libro di Torino si è snodata non solo tra i molteplici stand delle editrici, bensì mirando a costruire un percorso, ho seguito un filo che nella mente ha rievocato l’antico mito. Uscire dal labirinto del salone con qualche idea propositiva non è impresa semplice ed è per questo che, guidata dall’abile filo, ho scelto alcuni appuntamenti e, dalle suggestioni ricevute, ho sviluppato le mie riflessioni, che potrei declinare così:
Consistenza, con richiamo alla lezione inedita di Italo Calvino e il suo richiamo alla memoria
Complessità e appello ad una coscienza responsabile secondo Edgar Morin che addita la metamorfosi entelechia dell’Europa secondo lo sguardo di Romano Guardini che rimanda allo specchio.
Cercherò di comunicare quanto appuntato inserendo anche alcuni piacevoli momenti vissuti negli stand dove, con un po’ di emozione, erano esposte le mie piccole creature, ovvero i “miei figli di carta”, una definizione che prendo a prestito dal maestro Domenico Volpi, Fondatore e Presidente Onorario del Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile. In particolare, in questa edizione ho partecipato alla premiazione del Concorso Scrivere donna della Neos editrice, 9° edizione, con la piacevole sorpresa di vedere pubblicata nell’Antologia la mia poesia intitolata: Sorriso. Il concorso tra l’altro prevedeva una doppia premiazione: al Salone e a Rivoli, città che dà il suo patrocinio insieme con la Regione Piemonte, la Città di Torino, e numerose Associazioni. Il concorso ha ricevuto la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica nel 2014.
Presso lo stand della Neos, inoltre, era esposta la mia recente pubblicazione: IMI – I soldati che dissero no, una ricostruzione delle vicende militari di mio padre, mentre presso gli Editori del Piemonte figurava la mia collana di fiabe, con i suoi cinque volumetti dedicati all’infanzia e sui quali sono innestati i progetti educativi – culturali che porto in diverse biblioteche e scuole delle Valli di Lanzo (To).
Particolarmente suggestivo quindi il mio percorso che voglio arricchire in spirito di testimonianza con gli approfondimenti suggeriti appunto dai temi dedotti dalla partecipazione ad alcune conferenze, che ho elencato sopra.
Nella molteplicità dei fatti narrati, attraverso l’esperienza letteraria, Calvino individua, nella lezione rimasta inedita, che viene pubblicata in appendice al volume Lezioni americane, “la consistenza”, che obbliga a scegliere: è necessario scegliere nel vasto panorama dell’immaginario quel motivo unico che costruisce il senso ad una fra le tante possibilità. Ciò equivale a riconoscere il limite della ragione stessa che si impone delle regole. Egli invita quindi a realizzare una sorta di connubio fra le infinite possibilità e l’unica che prende forma fra le tante. In questo tortuoso percorso la memoria rimane centrale nella sua capacità di dirigere gli eventi insieme con la capacità di stimolare nuove risposte nate anche dalle contrapposizioni determinate dai conflitti che inevitabilmente si intrecciano nel perenne duello frale le opposte forze del bene e del male, sostanza della stessa vita.
Così «il narratore di fiabe fa appello alla memoria collettiva ma allo stesso tempo a un pozzo di oblio da cui le fiabe emergono come spogliate di ogni determinazione individuale». E ancora riferendosi alla memoria collettiva, si coglie il senso della vita. «Cos’è il senso della vita? E’ qualcosa che possiamo cogliere soltanto nelle vite degli altri che, per essere oggetto di narrazione, ci si presentano come compiute, sigillate dalla morte». Mantenere la tensione verso l’oltre permette di imprimere fiducia agli eventi e in un certo qual modo garantire una sopravvivenza, consapevoli pure, come dirà Calvino, che non rimane molto da dire se non affidare alla letteratura il suo perenne compito di trasmettere infinite storie personali, dalle quali attingere nuove possibilità per stare nel mondo.
Oggi, e qui entra in gioco la sociologia, esauriti quasi del tutto i paradigmi antropologici, la vita assume caratteristiche ristrette. Sovente si avverte una sensazione di sconforto per essere stati privati di quel senso fondamentale che muove ogni azione. Si è chiamati a rispondere a fatti, a situazioni in cui i frutti derivati dalle invenzioni della nostra mente ci rendono schiavi delle stesse invenzioni. Il predominio della tecnica depriva l’uomo di ogni sua qualità come ben ha tratteggiato Musil nel suo “uomo senza qualità”. La complessità, oggetto degli approfonditi studi di Edgar Morin, necessita con urgenza di strategie capaci di riconoscere nei limiti impliciti alla ragione stessa la possibilità di trovare una via d’uscita. Quale (via) però?
La proposta di Morin va subito al pratico, riferendosi ad esempio all’agricoltura, favorisce il ritorno alla coltivazione della terra supportato da un uso consapevole dei mezzi offerti dalla tecnica. Si tratta, secondo il sociologo, di vivere con responsabilità. Nella sua analisi sugli effetti del’68 egli afferma con sicurezza che oggi non è rimasto nulla di quanto allora fu definita “una rivoluzione” se non un’aspirazione ecologica per vivere in modo più sano, standardizzato e un’inclinazione, peraltro utile, alla solidarietà. Abbandonate ideologie e lotte di varia matrice, di fronte ad un forbice che si allarga mettendo a nudo una fetta di società sempre più povera e di una povertà non solo materiale, ma soprattutto culturale. Gli strumenti che la tecnologia offre oggi alla comunicazione tendono a sviluppare conoscenze superficiali, spesso si dovrebbe parlare più di informazione /disinformazione, poiché la mancanza di riflessione, in particolare, impedisce di discernere fra vero e falso, ostacola la formazione di un pensiero critico, annulla la presa di coscienza di quanto appreso per trasformare il sapere in consapevole risposta agli eventi vissuti. Lo studioso parla infine di metamorfosi come idea che fonda una interdipendenza planetaria, capace di costruire una comunità che avverte un destino mondiale. Ecco perché partendo dalla terra egli propone con esempi pratici la trasformazione dell’agricoltura nel rispetto della tradizione, coadiuvata dalle nuove tecnologie. Una maggiore mondialità garantisce anche una maggiore protezione delle piccole realtà contro il pericolo della desertificazione, come quella che ha colpito in particolare l’industria in generale. Si rende necessaria una rigenerazione quotidiana, non si tratta più di “distruggere” tutto come nel’68, occorre creare interazioni fra le tante specializzazioni, di fronte ad una visione disincarnata dell’uomo nelle sue componenti biologica e fisica. Morin conclude appellandosi alle forze primordiali eros/thanatos, vita e morte, che, nel loro perenne conflitto, sono portatrici di nuove realtà.
La sfida della spiritualità irrompe con la sua limpidezza di sguardo e di intenti attraverso la rivisitazione dell’ “inattualità” del pensiero di Romano Guardini, secondo la lettura di Massimo Cacciari. Quest’ultimo addita la coscienza come bisogno fondamentale da applicare alla tecnica. Lo sguardo è rivolto all’Europa che, secondo il pensiero del teologo/filosofo Guardini, di origine italiana, ma di formazione tedesca, ha il suo unico senso nella dimensione cristologica, pena la sua fine. Guardini ha preconizzato, all’inizio del secolo scorso, in mezzo alla sua tragicità, che il destino dell’Europa è Cristo, pena il suo disfacimento decretato dalla tecnica stessa. Tale dimensione cristologica, a- confessionale, è l’unica a permettere l’incontro fra culture diverse caratterizzate da un destino comune a tutta l’umanità. L’Europa è entelechia vivente, «un organismo culturale, destinato a porre in atto ciò che possiede in potenza fin dalle origini». La sintesi della riflessione sul pensiero di Guardini, secondo Cacciari, sta nella riconversione al Cristo, «come proposta di lavoro pratico-intellettuale, capace di “conferire alla Tecnica un ordine, una misura, un Fine». Soltanto una visione tale della Tecnica potrà garantire la liberazione dell’umano, i limiti della ragione rimandano ad una visione teleologica della scienza. Il conflitto che pare insanabile può trovare una soluzione proprio nella ri-conversione in Cristo. Soltanto tale atteggiamento è in grado di dare ordine, formare la tecnica, che di per sé contiene un’energia pagana pericolosa. La riconversione a Cristo libera l’uomo da ogni falsa sicurezza, e apre ad un cammino in cui la responsabilità orienta le decisioni . in questo percorso, libero da illusioni e contraddizioni, l’uomo può riconoscersi come in uno specchio, nello sguardo del fratello, può accogliere l’altro, può costruire una comunità che non si rivela soltanto un agglomerato, bensì con la consapevole ricerca di un bene comune in cui la tecnica stessa si può rivestire di “umanesimo”.
Le tre relazioni riportate contengono elementi comuni che fanno emergere la presenza di quel filo citato all’inizio e, attraverso il quale, la visita al Salone 2018 mi ha condotta fuori dal labirinto, consapevole di aver raccolto delle suggestioni ricche e profonde da condividere.